MERCOLEDI
Il mercoledi e’ diventato un giorno speciale. E’ a meta’ strada, fra l’inizio di una settimana e il sabato che si avvicina. Io me lo sono trasformato in un giorno zen, di meditazione e rilassamento. Finito il lavoro vado a yoga nella palestra della banca: li’, in uno stanzone con tanti specchi, mi metto a fare l’acrobata insieme a una quindicina di altre persone. Ci guida Rex, un ragazzo americano che con delicatezza e armonia ci fa passare da un movimento all’altro. Mi capita raramente di sentirmi tanto brutto e goffo. Attorno a me ci sono dei corpi belli, lunghi, magri, flessibili. Io al confronto sono un salame: grasso, insaccato, tozzo. E’ un’esperienza disarmante ma e’ un bello stimolo.
Finito yoga torno a casa, sempre a bordo della mia mountain bike rossa, mi cambio e poi vado al Cafe’ Japon, un ristorante giapu piuttosto kitsch dove fanno una zuppa di pesce e dei maki rolls buonissimi. Li’, in assoluta solitudine, leggo. Da qualche settimana ho smesso di leggere Terzani tutti i giorni: troppa angoscia, troppi nervi scoperti. Ora me lo tengo per il mercoledi, mentre le altre sere leggo il mio Nuruddin Farah e la sua Somalia. Cosi’ leggo e una cameriera di origine etiope, leggera come le donne etiopi, mi porta i diversi piatti con semplicita’ e attenzione. Un’altra frase di Terzani mi ha colpito oggi. La lascio qui, per i viaggiatori che la sentiranno come la sento io.
“ Ora, seduto sulla terrazza del Ganges View Hotel a Benares, a guardare l’eterno scorrere del fiume piu’ sacro del mondo e quello, qui ugualmente ineffabile, dell’umanita’ piu’ antica, quel senso m’era chiaro. La ragione di tutto quel muovermi, di quell’andare continuamente fuori in cerca di qualcosa era semplice: io non avevo niente dentro di me. Ero vuoto. Vuoto come e’ vuota una spugna, pronta pero’ a riempirsi di quello in cui e’ tuffata. La metti nell’acqua e d’acqua s’imbeve, la inzuppi nell’aceto e diventa acida. Non avessi viaggiato non avrei mai avuto niente da dire, da raccontare; niente su cui riflettere”.
“ Ora, seduto sulla terrazza del Ganges View Hotel a Benares, a guardare l’eterno scorrere del fiume piu’ sacro del mondo e quello, qui ugualmente ineffabile, dell’umanita’ piu’ antica, quel senso m’era chiaro. La ragione di tutto quel muovermi, di quell’andare continuamente fuori in cerca di qualcosa era semplice: io non avevo niente dentro di me. Ero vuoto. Vuoto come e’ vuota una spugna, pronta pero’ a riempirsi di quello in cui e’ tuffata. La metti nell’acqua e d’acqua s’imbeve, la inzuppi nell’aceto e diventa acida. Non avessi viaggiato non avrei mai avuto niente da dire, da raccontare; niente su cui riflettere”.
1 Comments:
At 10:33 AM, Anonymous said…
Caro Emanuele,
il mercoledì Zen é una bella idea. Cercherò di imitarla.
MIcia
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