Il business dei taxi di Washington e' in mano agli Etiopi, che generalmente sono rudi e tirano a fregare sulla tariffa: pero' sulla via per l'aeroporto raccontano tutta la vita politica dell'Etiopia e ci si fa una cultura.
Il business delle lavanderie è invece in mano ai Coreani. I Coreani non sono rudi e non tirano a fregare. Fanno il loro mestiere: prendono camicie, lavano camicie, stirano camicie, restituiscono camicie. Il tutto con una comunicazione totale di 10 parole.
Dieci giorni fa passiamo nella lavanderia di P Street per ritirare le 8 camicie consegnate la settimana prima. Ce ne danno 8, ma una non e' nostra. La restituiamo e facciamo i calcoli. Manca la camicia della Belsky, Dolce e Gabbana, a strisce, fighetta.

Proviamo a comunicare. La signora non capisce o fa finta di non capire. Riproviamo a monosillabi. Niente. Alla fine ci dice di lasciare il numero che ci richiamerà. Non richiama. Ritorniamo, altri monosillabi, deve avvertire il suo boss, Mr. Hu. "Mr Hu call to you tumorro". Mr. Hu non chiama. Noi ritorniamo, produciamo altri monosillabi e cosi' per 4 giorni di fila.
La camicia è chiaramente persa per sempre e noi, tra barriere linguistiche e culturali, non otteniamo nulla, nemmeno alzando la voce. Sembrano le scene surreali di Crash, film intelligente sull'America multiculturale e ghettizzata di oggi.
La Belsky piange la sua camicia, Mr. Hu non chiama, la signora coreana continua a ritirare, lavare, stirare e consegnare camicie nel suo loculo inamidato e noi vorremmo sapere se in questo paese si puo' avere indietro una camicia o almeno un piccolo rimborso.
Se fossimo a Pavia, Mr. Hu sarebbe gia' incriminato per furto e il nostro avvocato ci farebbe avere tutto l'atelier Dolce e Gabbana nel giro di una settimana. La gioia di sua cognata, che tanto gli vuole bene, sarebbe infinita.